Una vegana muore scalando l’Everest, ma è giusto raccontare quello che fa comodo

Notizia di ieri, riportata da diversi blog, la morte di una professoressa vegana di 34 anni durante la scalata del monte Everest. Tra le motivazioni della scalata viene riportata la sua missione di dimostrare che “i vegani possono fare qualsiasi cosa“. Chiaramente dopo questa notizia, la folla di anti-vegani si è mossa deridendo la vittima e la scelta di vita vegana.

I titoli delle notizie online non lasciano alcun dubbio su come la pensino questi giornalisti:

  • Voleva dimostrare che “i vegani possono fare qualsiasi cosa”. Muore scalando l’Everest (Huffington Post)
  • “Noi vegani possiamo fare qualunque cosa”: prof muore scalando l’Everest (Il Giornale)
  • “I VEGANI POSSONO COMPIERE IMPRESE ESTREME”: ALPINISTA MUORE MENTRE SCALA IL MONTE EVEREST (Leggo)

Da questi titoli non si evidenzia la notizia: praticamente si deride l’affermazione della professoressa, mettendola in contrasto con il risultato della missione che l’ha invece portata alla morte. E di conseguenza si va a “confermare” l’idea secondo la quale una dieta vegana non sia salutare. Come al solito, però, è tutto marketing: l’antipatia verso i vegani è una miniera d’oro per i giornali.

Quello che i sostenitori della bistecca non riportano quando condividono i titoli di questa notizia su Facebook è che il marito della professoressa, vegano anche lui, è sopravvissuto (pur rischiando la vita), mentre altre 3 persone onnivore sono morte in pochi giorni (da quando hanno riaperto le escursioni sull’Everest). Se proprio volessimo abbassarci al livello degli “anti-vegani” potremmo benissimo rispondere: “solo una vegana è morta, mentre gli onnivori morti sono stati tre”. Chiaramente sempre dimenticandoci del rispetto per le persone.

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